La preparazione per il riutilizzo, definita come l’insieme di operazioni “di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento”, è la modalità di trattamento con il migliore bilancio ambientale, da preferire sia al riciclaggio sia alle altre attività di recupero di materia o di energia.
Una priorità affermata dall’articolo 4 della Direttiva quadro sui rifiuti fin dal 2008 e recepita nell’ordinamento nazionale nel 2010 con l’articolo 179, Criteri di priorità nella gestione dei rifiuti, del decreto legislativo 152/2006.
La norma dispone che:
«la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
e) smaltimento.
La gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono […] il miglior risultato complessivo».
La rigenerazione degli imballaggi industriali (fusti, cisternette, IBC – Intermediate Bulk Container) è una delle applicazioni esemplari dell’attività di preparazione per il riutilizzo: mediante operazioni di “controllo, pulizia, smontaggio e riparazione” l’imballaggio, divenuto rifiuto dopo il primo ciclo d’uso, torna ad essere un prodotto. Un imballaggio pronto per un ulteriore impiego che garantisce, grazie all’attività delle imprese che ricondizionano questi beni, prestazioni identiche a quelle dell’imballaggio nuovo di fabbrica.
In questo caso è evidente che gli impianti autorizzati realizzino la “cessazione della qualifica di rifiuto”. Il processo di recupero degli imballaggi industriali, infatti, soddisfa pienamente le quattro condizioni indispensabili per essere certi che un rifiuto sia stato trasformato in prodotto:
«a) la sostanza o l’oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana».
FIRI (Federazione Italiana Rigeneratori Imballaggi), l’associazione che rappresenta gli operatori del settore, ha elaborato particolari procedure di trattamento dei rifiuti di imballaggio e una serie di specifiche tecniche finalizzate a garantire la qualità dei prodotti rigenerati. Nelle autorizzazioni degli impianti rilasciate negli ultimi mesi le procedure e le specifiche tecniche sono già state richiamate dalle autorità competenti come standard di settore.
La preparazione per il riutilizzo può attendere
La legislazione ambientale, pur avendo affermato la priorità delle attività di preparazione per il riutilizzo, non sembra però in grado di incentivarle concretamente. Da dieci anni si attendeva che, come previsto dal decreto legislativo 205/2010, “con uno o più decreti del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare” fossero adottate “le ulteriori misure necessarie per promuovere il riutilizzo dei prodotti e la preparazione dei rifiuti per il riutilizzo”, ma fino ad oggi l’attesa è stata vana.
Non è bastato neppure che il decreto legislativo 116/2020 disponesse che: «Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione [quindi entro il 26 novembre dell’anno scorso], con decreto del Ministro dell’ambiente […] sono definite le modalità operative, le dotazioni tecniche e strutturali, i requisiti minimi di qualificazione degli operatori necessari per l’esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo, le quantità massime impiegabili, la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche di utilizzo degli stessi in base alle quali prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono sottoposti a operazioni di preparazione per il riutilizzo».
Dall’autocertificazione al controllo preventivo
La riforma di settembre aveva previsto che le operazioni di preparazione per il riutilizzo di prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti potessero essere avviate, a partire dall’entrata in vigore del decreto che avrebbe dovuto essere emanato, mediante “segnalazione certificata di inizio di attività” (SCIA), quindi con un procedimento molto snello che forse avrebbe potuto contribuire a recuperare, almeno in parte, il ritardo di dieci anni nel frattempo accumulato.
La legge di conversione del decreto-legge 77/2021 (108/2021) ha però eliminato la SCIA e ha introdotto un controllo preventivo in luogo dell’autocertificazione. L’attività potrà essere intrapresa solo «successivamente alla verifica e al controllo dei requisiti previsti dal decreto di cui al comma 2, effettuati dalle province ovvero dalle città metropolitane territorialmente competenti, secondo le modalità indicate all’articolo 216».
Nessuno spazio per gli imballaggi nella bozza di decreto
Preoccupa, infine, che i rifiuti di imballaggio – il primo “flusso prioritario di rifiuti” ad essere stato disciplinato, fin dagli anni Novanta, da una direttiva europea – non siano presenti nella bozza di decreto volto a disciplinare le procedure di autorizzazione semplificate per l’esercizio delle attività di preparazione per il riutilizzo.
Il decreto legislativo 152/2006 prevede che le pubbliche amministrazioni, dal ministero per la transizione ecologica al singolo comune, adottino “modalità autorizzative semplificate” e misure per “promuovere la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti, il riciclaggio o altre operazioni di recupero, in particolare incoraggiando lo sviluppo di reti di operatori per facilitare le operazioni di preparazione per il riutilizzo”. Per il momento, però, sembra che la preparazione per il riutilizzo, e l’economia circolare, possano attendere.